Nomen
Omen - Nel nome del profumo
Antonella
è il mio nome. Fino a qualche anno fa non mi piaceva. Troppo comune pensavo. E
poi sempre da tutti storpiato ed abbreviato in Anto o Lella o Nella. Credo non mi piacesse proprio perché non
c’era una persona che mi chiamasse con il mio nome per intero.
Nonostante
che chiedessi espressamente di chiamarmi senza abbreviazioni, non c’era niente
da fare. Iniziai ad ignorare la cosa e a pensare che, come il grande Bardo
William Shakespeare ebbe a dire:
“Cosa
c’è in un nome? Ciò che chiamiamo Rosa, anche con un altro nome, conserva il
suo profumo”.
Così,
sollevata dalla poca importanza potesse avere come mi chiamassero, e, pensando
di conseguenza che la mia essenza fragrante rimanesse immutata al di là del
nome che mi era capitato in sorte, il mio nome rimase per tutti…ahimè…Anto. Mi consolava che almeno la mia bambina mi
chiamasse col nome dal suono più bello: mamma.
In un
inoltrato giorno di settembre di qualche anno fa, mentre passeggiavo per le vie
della città, il mio naso si rivolse all’insù, come rapito da un profumo soave
di fiori raccolti intorno ad un cestino di albicocche, appena raggrinzite da un
sole ormai pallido.
Seguendo
l’udibile scia silenziosa, arrivai ad una siepe confinante di un giardino. Era
un profumo paradisiaco. Non riuscivo a vedere il cespuglio per intero, ma ne sentivo
gli effluvi. Il mio sguardo fagocitava ogni indizio in tutte le direzioni
possibili. Finalmente uno scorcio mi lasciò intravedere l’oggetto della mia visione
olfattiva. Vidi così un cespuglio con, alla base, le foglie simili a quelle
dell’agrifoglio. Queste poi, via via che si ergevano verso l’alto, perdevano le
punte ed assumevano un contorno pressochè liscio. Mentre osservavo questi
minuscoli fiorellini riuniti in grappolo sotto l’ascella foliare, pensai alla
straordinarietà della natura. Alcune piante hanno alla base le foglie appuntite
per proteggersi dai piccoli animali, per
poi perdere le loro “armi naturali”
innalzandosi, e rendendo quindi le punte
acuminate sempre meno necessarie.
Non
vedevo l’ora di scappare a casa per scoprire il nome di quella meraviglia della
natura.
Dopo una breve ricerca capii che si trattava dell’Olea Fragrans, chiamato anche Osmanthus. E compresi perché mi aveva tanto emozionato. Un poeta dell’antica Dinastia Song (960-1279), Yang Wan-Li, disse di questi fiorellini così poco evidenti eppur così potenti col loro profumo:
“L’Osmanto,
contrariamente ad altri fiori dal bouquet troppo delicato o troppo intenso,
presenta un profumo che rinfresca l’aria ma sufficientemente intenso da
diffondersi per miglia di distanza. E’ difficile credere che questo fiore sia
opera della natura e non della luna o del paradiso.”
Lo
stesso poeta scrisse poemi di una bellezza incredibile raccolti in “Poems from
Song Dynasty China by Yang Wan-Li”. Tra questi spicca per sensibilità ed
immaginazione: “Heaven is my Blanket, Earth my Pillow” “ Il
paradiso è la mia coperta, la Terra il mio Cuscino”.
E l’Osmanto probabilmente fu, per questo
antico poeta, un ricamo sulla sua coperta, un profumo celestiale che appare
come un’espressione del movimento della vita, mediatore tra il Cielo e la
Terra, tra il visibile e l’invisibile, il profumo di un fiore emblema dell’Impero
del Milione.
L’osmanthus
riassume in sé questa filosofia millenaria che unisce anima e corpo. Il suo odore rivela sfaccettature floreali,
fruttate e leggermente “animaliche”, per meglio esprimere la dualità del mondo.
Per questo l’Osmanthus è tanto caro e sacro all’Oriente quasi altrettanto come il
loro fiore simbolo; il Loto.
L’importanza
della memoria olfattiva, chiave di volta del senso del tempo, l’aveva ben compreso Marcel Proust mentre
scriveva il suo capolavoro: “Alla ricerca del tempo perduto”.
Improvvisamente
ebbe un’intuizione folgorante. Il profumo di una madeleine inzuppata nel the lo
riportò ai momenti dolcemente sereni delle sue vacanze d’infanzia nella casa
della zia tanto amata, aprendogli un mondo di scoperte e rivelazioni.
In modo
analogo, per me, l’incontro con questo fiore e il suo profumo, fu il primo
passo per intraprendere il vero viaggio di scoperta, in un periodo della mia
vita che mai fu più stanziale.
“Il vero
viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi
occhi” - Marcel Proust.
L’Osmanthus
divenne il fiore simbolo per capire che dovevo accettare ed essere grata di
avere il nome che portavo. La sua etimologia significa infatti “il profumo del
fiore” dal greco “ anthos” fiore e “osmè” annusare. Da quel momento mi piacque anche
l’abbreviazione Antho.
Un
minuscolo tassello del puzzle era andato a posto. Dovevo chiamarmi Antonella e nascere nei
giorni di Floralia, o dei Ludi Florales, giochi celebrati nell’antica Roma per
onorare la Dea Flora, protettrice dei boccioli, la cui prima celebrazione
risale al 238 a.c.
Si
spiegava così il mio amore per i fiori e il loro profumo. Ancor oggi, pur
annusando e meditando bellissime altre creazioni olfattive, i miei preferiti
rimangono i profumi che rievocano giardini notturni, esalatori di magici
sentori di gelsomini, rose e lilla…
E non
potevano che essere giardini notturni…nella notte sono nata…verso L’Una o giù di lì…e nel giorno della
settimana a lei dedicato, il Lunedì.
La Luna, con le sue vibrazioni risonanti nel mare
dell’inconscio, le sue frequenze e i suoi numeri magici, mi accompagna sulla
strada della vita come un faro nella notte…
L’Osmanthus,
La Luna e Chagall
Quando
approfondii la conoscenza dell’Osmanthus, (osmanthus fragrans) scoprì che
questo arbusto dai fiorellini profumatissimi, conosciuto anche come olivo dolce
o olivo del tè, e chiamato in Cina “ gui hua”, è coltivato fin dai tempi più
antichi nella valle del Manjuelong intorno ai templi buddisti.
Da noi
arrivò grazie ad un botanico francese che lo portò in Occidente intorno al 1850.
Queste le fonti storiche. Ma son convinta che già Marco Polo, lungo la Via della Seta, avesse incontrato sul suo
cammino degli arbusti di Osmanthus. Non posso citare fonti perché non ne ho. In
quel periodo lessi “Il Milione”.
Suggestionata dai leggendari racconti narrati
da Marco Polo, una notte sognai lo stesso viaggiatore veneziano. Nel sogno aveva l’aspetto
dell’attore che lo interpretava nel film omonimo. Era abbigliato di una veste
tipica dell’epoca, con un improbabile mantello di seta di un verde scuro cangiante, regalo di uno dei
Mandarini incontrati lungo gli anni trascorsi in Oriente.
Marco Polo era
rientrato a Venezia e tutti ammiravano il suo mantello lucente di seta. Lui si
schernì, e temendo di venir assalito per aver portato con sé chissà quali
ricchezze, ritirò il suo mantello e mostrò a tutti che sotto era vestito di
stracci. Quando fu solo, al riparo da occhi indiscreti, cominciò a scucire i piccoli
sacchetti cuciti tra le pieghe degli stracci che indossava. In quei sacchetti
si nascondevano grandi ricchezze, smeraldi, pietre preziose e semi di osmanto. Sogni,
intuizioni, fantasie? Probabile, ma ciò che il sogno stava a
dirmi è di guardare sempre oltre le apparenze. I veri tesori possono essere nascosti
nei luoghi più impensabili e discreti. Fino ad allora non avevo pensato che
anche i tessuti avessero una logica vibrazione in sintonia con le note
e compresi in modo molto semplice ed
inequivocabile che l’Osmanto suonava in armonia con la lucentezza e la
morbidezza della seta. Il perché è chiaro. L’osmanthus viene dalla Cina e da
essa vien la seta e i gelsi che la originano. Chi lo sa che fine abbiano fatto
i semi preziosi di Osmanto !? Ma già, …è stato solo un sogno.
Di certo,
nella seconda metà dell’800 e successivamente, troviamo questa pianta in moltissimi giardini delle ville dei nostri
laghi.
Un
nostro poeta, Vittorio Sereni, vissuto sul Lago Maggiore fino al 1983, immortala così nella sua poesia
“Settembre”, l’atmosfera che crea il profumo dell’Olea Fragrans fiorendo verso
la fine dell’estate:
“Già
l’Olea Fragrante nei giardini
D’amarezza
ci punge: il lago un poco
Si
ritira da noi, scopre una spiaggia
D’aride
cose,
di remi
infranti, di reti strappate.
E il
vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una
dubbiosa brulicante estate………”
L’immagine
archetipica simbolizzata attraverso il suo profumo e la sua fioritura
all’inizio dell’autunno , crea, nella mente di ognuno di noi, un’atmosfera di nostalgia per l’estate ormai
finita. Nel contempo, l’autunno prepara la natura all’inverno con la certezza
che ci sarà di nuovo un’altra primavera.
Questo
fiore profuma di soavità moltissime favole e leggende d’oriente, dove giganti,
principesse, arbusti di osmanthus s’incontrano nelle notti stellate di luna
piena. Una di queste racconta che l’osmanthus cresceva nel Paradiso lunare,
fino a quando, una divinità del cielo, decise di spargerne i semi sulla terra
per aiutare l’umanità a moltiplicarsi. I semi, dopo nove mesi, diedero vita a
piante fragrantissime contemporaneamente alla nascita di molti bambini. Per
questo motivo l’Osmanthus in Oriente simboleggia l’amore e la famiglia e viene regalato
alle future spose e alle famiglie in occasione della Festa della Luna, festa
seconda in importanza solo a quella di primavera chiamata Hanami.
La Festa della Luna si svolge a metà autunno
con la luna piena. Le famiglie si riuniscono e, se il tempo lo consente,
mangiando dolcetti a forma di luna e bevendo tè aromatizzato con l’osmanto, stanno
col naso all’insù per osservare l’ombra disegnata sulla luna dal gigante Wu
Gang che tenta di strappare la pianta dell’Osmanthus dalla Luna….bellissime e
poetiche suggestioni che hanno reso questa pianta leggendaria.
Di leggenda in
leggenda, e di fiore in fiore, mi ritrovai a leggere poesie, storie e misteri legate
all’astro lucente. La luna e i suoi cicli di 28 giorni….la Luna che produce il sale nel mare,
la luna
che da vita alle onde e alle maree,
la luna e i gelsomini. Uno dietro l’altro,
il Cd della mia anima, andava a riempirsi d’informazioni, a volte vibranti di
note musicali, a volte erano impronte lasciate da un passo di danza, altre volte
pennellate di luci e colori. Ancora adesso mi capita di ripulirlo il mio cd da memorie passate per dar spazio ai pensieri del presente. Pian piano devo mettere al loro posto le informazioni giuste necessarie
affinchè tutto s’incastri alla
perfezione per poi generare un'armonica sinfonia.
E tutto questo perché un giorno di settembre avevo
annusato nell’aria, il profumo di un fiore che arrivava dalla lontana
ancestrale saggezza della Cina.. E da li, in un divenire d’indizi entusiasmanti,
scoprire che il profumo appare sulla
cresta dell’onda sotto i riverberi della luna, cresta dell’onda che i cinesi
chiamano “hado”, nome che esprime l’energia creatrice della vita stessa.
Nel frattempo
prosegue la conoscenza, sempre più entusiasmante, nel mondo della profumeria
artistica, spingendomi ad approfondire sempre di più, gli stretti legami tra
profumi, musica ed arte espressa nelle più svariate forme, conoscenza favorita
dalla fortuna di lavorare nello stesso contesto oggetto della mia appassionata
curiosità.
Quando
mi capitò di annusare un meraviglioso profumo di Osmanthus, il cui cuore era
anticipato da note di the cinese per ricordarne l’origine, ebbi un’emozione
che, per un istante, mi catapultò davanti al dipinto di Marc Chagall “Il
Pittore sulla Luna”. L’emozione fu forte. Nello stesso periodo, le mie ricerche
mi avevano portato sulle tracce di un artista già da me molto amato durante le superiori,
Marc Chagall. Allora mi piaceva la sua pittura naif e il suo utilizzo del
colore, ora avevo compreso cosa significasse la definizione che lessi una volta
su di lui:
" Il Pittore che ha reso visibile l’Invisibile”. L’incontro con
Chagall non fu per caso, né per coincidenza, ma per serendipità.
Era il 7
luglio, l’anno non ha importanza. Stavo facendo a piedi la strada che mi
conduceva al lavoro e, come quasi tutte le mattine, amavo passare attraverso un
parco cittadino per fare il pieno di colori e profumi. Lo sguardo rimase
affascinato da un’aiuola dove spiccavano dritti e fieri dei meravigliosi fiori
di un bellissimo blu, un blu che diventò per me il Blu Chagall. Distanziati uno
dall’altro quel tanto che basta per focalizzarsi sulla loro individualità, gli
agapanthus spiccano verso l’alto con un gambo verde robusto ma flessibile come
un giunco, per poi sbocciare in una sfera dove la cromia dei fiorellini blu si
melange al verde dei piccoli steli, quasi a voler rappresentare il Mondo, con i
colori blu del cielo e del mare e i verdi delle foreste e dei prati. Lo so, ho
tanta immaginazione, ma se vi fermaste ad osservare la bellezza delle forme e
dei colori, riuscireste a percepirne il profumo che non ha.
Sentireste il
profumo verde del gambo come quello di un bamboo, sentireste il profumo della
terra, dei muschi, dei prati e sentireste il profumo del cielo. Perché altrimenti
si chiamerebbe agapanthus? L’agape è l’amore universale, è il cerchio che si
chiude, e l’agapanthus era il fiore preferito da Chagall che, nel giardino
della sua ultima dimora nel sud della Francia, aveva voluto un’aiuola con
questi fiori che fiorivano intorno alla data del suo compleanno che, indovinate
un po’, era il 7 luglio. E sono certa, che la sua straordinaria sensibilità gli
fece cogliere le sfumature blu di questo fiore per poi riportarlo come
paradigma nelle sue vetrate più famose, le quali sembrano vivere di luce
propria anche nell’oscurità, quasi a suggerirci di brillare sempre della nostra luce interiore. ..e dal blu di
Chagall, mi spruzzo di agape profumato colorato di verde e blu, chiudo gli
occhi e ascolto:
George Gershwin - Rhapsody in Blue
Chagall,
con Belle, sua adorata moglie, avrà ascoltato questa musica mentre dipingeva!?
Che meraviglia avere il naso per annusare, la vista per osservare, l’udito per ascoltare, la mente per immaginare, il cuore per amare….grazie Marc…grazie
Universo.
Nel prossimo appuntamento
Profumo
d' infinito - La storia
di un profumo del passato, del presente e del futuro