Ella Donati

domenica 22 novembre 2015

Nomen Omen Nel Nome del Profumo

Nomen Omen - Nel nome del profumo




Antonella è il mio nome. Fino a qualche anno fa non mi piaceva. Troppo comune pensavo. E poi sempre da tutti storpiato ed abbreviato in Anto o Lella o Nella.  Credo non mi piacesse proprio perché non c’era una persona che mi chiamasse con il mio nome per intero.

Nonostante che chiedessi espressamente di chiamarmi senza abbreviazioni, non c’era niente da fare. Iniziai ad ignorare la cosa e a pensare che, come il grande Bardo William Shakespeare ebbe a dire:
“Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo Rosa, anche con un altro nome, conserva il suo profumo”.
Così, sollevata dalla poca importanza potesse avere come mi chiamassero, e, pensando di conseguenza che la mia essenza fragrante rimanesse immutata al di là del nome che mi era capitato in sorte, il mio nome rimase per tutti…ahimè…Anto.  Mi consolava che almeno la mia bambina mi chiamasse col nome dal suono più bello: mamma.
In un inoltrato giorno di settembre di qualche anno fa, mentre passeggiavo per le vie della città, il mio naso si rivolse all’insù, come rapito da un profumo soave di fiori raccolti intorno ad un cestino di albicocche, appena raggrinzite da un sole ormai pallido.
Seguendo l’udibile scia silenziosa, arrivai ad una siepe confinante di un giardino. Era un profumo paradisiaco. Non riuscivo a vedere il cespuglio per intero, ma ne sentivo gli effluvi. Il mio sguardo fagocitava ogni indizio in tutte le direzioni possibili. Finalmente uno scorcio mi lasciò intravedere l’oggetto della mia visione olfattiva. Vidi così un cespuglio con, alla base, le foglie simili a quelle dell’agrifoglio. Queste poi, via via che si ergevano verso l’alto, perdevano le punte ed assumevano un contorno pressochè liscio. Mentre osservavo questi minuscoli fiorellini riuniti in grappolo sotto l’ascella foliare, pensai alla straordinarietà della natura. Alcune piante hanno alla base le foglie appuntite per proteggersi dai piccoli  animali, per poi perdere le loro “armi  naturali” innalzandosi, e rendendo quindi  le punte acuminate sempre meno necessarie.
 Mi domandai che fiori potessero esserci a fine settembre. Quel profumo mi ossessionava. Le sue esalazioni avevano raggiunto la mia anima fino al punto da suscitarmi una profonda sublime nostalgia.
Non vedevo l’ora di scappare a casa per scoprire il nome di quella meraviglia della natura. 


Dopo una breve ricerca capii che si trattava dell’Olea Fragrans, chiamato anche Osmanthus. E compresi perché mi aveva tanto emozionato. Un poeta dell’antica Dinastia Song (960-1279), Yang Wan-Li, disse di questi fiorellini così poco evidenti eppur così potenti col loro profumo:
“L’Osmanto, contrariamente ad altri fiori dal bouquet troppo delicato o troppo intenso, presenta un profumo che rinfresca l’aria ma sufficientemente intenso da diffondersi per miglia di distanza. E’ difficile credere che questo fiore sia opera della natura e non della luna o del paradiso.”
Lo stesso poeta scrisse poemi di una bellezza incredibile raccolti in “Poems from Song Dynasty China by Yang Wan-Li”. Tra questi spicca per sensibilità ed immaginazione: “Heaven is my Blanket, Earth my Pillow” “ Il paradiso è la mia coperta, la Terra il mio Cuscino”.  

E l’Osmanto probabilmente fu, per questo antico poeta, un ricamo sulla sua coperta, un profumo celestiale che appare come un’espressione del movimento della vita, mediatore tra il Cielo e la Terra, tra il visibile e l’invisibile, il profumo di un fiore emblema dell’Impero del Milione.
L’osmanthus riassume in sé questa filosofia millenaria che unisce anima e corpo.  Il suo odore rivela sfaccettature floreali, fruttate e leggermente “animaliche”, per meglio esprimere la dualità del mondo. Per questo l’Osmanthus è tanto caro e sacro all’Oriente quasi altrettanto come il loro fiore simbolo; il Loto.


L’importanza della memoria olfattiva, chiave di volta del senso del tempo,  l’aveva ben compreso Marcel Proust mentre scriveva il suo capolavoro: “Alla ricerca del tempo perduto”. 
Improvvisamente ebbe un’intuizione folgorante. Il profumo di una madeleine inzuppata nel the lo riportò ai momenti dolcemente sereni delle sue vacanze d’infanzia nella casa della zia tanto amata, aprendogli un mondo di scoperte e rivelazioni.
In modo analogo, per me, l’incontro con questo fiore e il suo profumo, fu il primo passo per intraprendere il vero viaggio di scoperta, in un periodo della mia vita che mai fu più stanziale.

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” - Marcel Proust.

L’Osmanthus divenne il fiore simbolo per capire che dovevo accettare ed essere grata di avere il nome che portavo. La sua etimologia significa infatti “il profumo del fiore” dal greco “ anthos” fiore e “osmè” annusare. Da quel momento mi piacque anche l’abbreviazione Antho.
Un minuscolo tassello del puzzle era andato a posto. Dovevo chiamarmi Antonella e nascere nei giorni di Floralia, o dei Ludi Florales, giochi celebrati nell’antica Roma per onorare la Dea Flora, protettrice dei boccioli, la cui prima celebrazione risale al 238 a.c.
Si spiegava così il mio amore per i fiori e il loro profumo. Ancor oggi, pur annusando e meditando bellissime altre creazioni olfattive, i miei preferiti rimangono i profumi che rievocano giardini notturni, esalatori di magici sentori di gelsomini, rose e lilla…
E non potevano che essere giardini notturni…nella notte sono nata…verso L’Una o giù di lì…e nel giorno della settimana a lei dedicato, il Lunedì.



La Luna, con le sue vibrazioni risonanti nel mare dell’inconscio, le sue frequenze e i suoi numeri magici, mi accompagna sulla strada della vita come un faro nella notte…

L’Osmanthus, La Luna e Chagall

Quando approfondii la conoscenza dell’Osmanthus, (osmanthus fragrans) scoprì che questo arbusto dai fiorellini profumatissimi, conosciuto anche come olivo dolce o olivo del tè, e chiamato in Cina “ gui hua”, è coltivato fin dai tempi più antichi nella valle del Manjuelong intorno ai templi buddisti.


Da noi arrivò grazie ad un botanico francese che lo portò in Occidente intorno al 1850. Queste le fonti storiche.  Ma son convinta che già Marco Polo, lungo la Via della Seta, avesse incontrato sul suo cammino degli arbusti di Osmanthus. Non posso citare fonti perché non ne ho. In quel periodo lessi “Il Milione”. 
Suggestionata dai leggendari racconti narrati da Marco Polo, una notte sognai lo stesso viaggiatore veneziano. Nel sogno aveva l’aspetto dell’attore che lo interpretava nel film omonimo. Era abbigliato di una veste tipica dell’epoca, con un improbabile mantello di seta  di un verde scuro cangiante, regalo di uno dei Mandarini incontrati lungo gli anni trascorsi in Oriente. 
Marco Polo era rientrato a Venezia e tutti ammiravano il suo mantello lucente di seta. Lui si schernì, e temendo di venir assalito per aver portato con sé chissà quali ricchezze, ritirò il suo mantello e mostrò a tutti che sotto era vestito di stracci. Quando fu solo, al riparo da occhi indiscreti, cominciò a scucire i piccoli sacchetti cuciti tra le pieghe degli stracci che indossava. In quei sacchetti si nascondevano grandi ricchezze, smeraldi, pietre preziose e semi di osmanto. Sogni, intuizioni, fantasie? Probabile, ma ciò che il sogno stava a dirmi è di guardare sempre oltre le apparenze. I veri tesori possono essere nascosti nei luoghi più impensabili e discreti. Fino ad allora non avevo pensato che anche i tessuti avessero una logica vibrazione in sintonia con le note e compresi in modo molto semplice ed inequivocabile che l’Osmanto suonava in armonia con la lucentezza e la morbidezza della seta. Il perché è chiaro. L’osmanthus viene dalla Cina e da essa vien la seta e i gelsi che la originano. Chi lo sa che fine abbiano fatto i semi preziosi di Osmanto !? Ma già, …è stato solo un sogno.

Di certo, nella seconda metà dell’800 e successivamente, troviamo questa pianta in  moltissimi giardini delle ville dei nostri laghi.

Un nostro poeta, Vittorio Sereni, vissuto sul Lago Maggiore  fino al 1983, immortala così nella sua poesia “Settembre”, l’atmosfera che crea il profumo dell’Olea Fragrans fiorendo verso la fine dell’estate:

“Già l’Olea Fragrante nei giardini
D’amarezza ci punge: il lago un poco
Si ritira da noi, scopre una spiaggia
D’aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
 già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate………”

L’immagine archetipica simbolizzata attraverso il suo profumo e la sua fioritura all’inizio dell’autunno , crea, nella mente di ognuno di noi,  un’atmosfera di nostalgia per l’estate ormai finita. Nel contempo, l’autunno prepara la natura all’inverno con la certezza che ci sarà di nuovo un’altra primavera.

Questo fiore profuma di soavità moltissime favole e leggende d’oriente, dove giganti, principesse, arbusti di osmanthus s’incontrano nelle notti stellate di luna piena. Una di queste racconta che l’osmanthus cresceva nel Paradiso lunare, fino a quando, una divinità del cielo, decise di spargerne i semi sulla terra per aiutare l’umanità a moltiplicarsi. I semi, dopo nove mesi, diedero vita a piante fragrantissime contemporaneamente alla nascita di molti bambini. Per questo motivo l’Osmanthus in Oriente simboleggia l’amore e la famiglia e viene regalato alle future spose e alle famiglie in occasione della Festa della Luna, festa seconda in importanza solo a quella di primavera chiamata Hanami.
 La Festa della Luna si svolge a metà autunno con la luna piena. Le famiglie si riuniscono e, se il tempo lo consente, mangiando dolcetti a forma di luna e bevendo tè aromatizzato con l’osmanto, stanno col naso all’insù per osservare l’ombra disegnata sulla luna dal gigante Wu Gang che tenta di strappare la pianta dell’Osmanthus dalla Luna….bellissime e poetiche suggestioni che hanno reso questa pianta leggendaria. 
Di leggenda in leggenda, e di fiore in fiore, mi ritrovai a leggere poesie, storie e misteri legate all’astro lucente. La luna e i suoi cicli di 28 giorni….la Luna che produce il sale nel mare, 
la luna che da vita alle onde e alle maree, 
la luna e i gelsomini. Uno dietro l’altro, il Cd della mia anima, andava a riempirsi d’informazioni, a volte vibranti di note musicali, a volte erano impronte lasciate da un passo di danza, altre volte pennellate di luci e colori. Ancora adesso mi capita di ripulirlo il mio cd da memorie passate per dar spazio ai pensieri del presente. Pian piano devo mettere al loro posto le informazioni giuste necessarie affinchè tutto s’incastri  alla perfezione per poi generare un'armonica sinfonia.
E tutto questo perché un giorno di settembre avevo annusato nell’aria, il profumo di un fiore che arrivava dalla lontana ancestrale saggezza della Cina.. E da li, in un divenire d’indizi entusiasmanti, scoprire che il  profumo appare sulla cresta dell’onda sotto i riverberi della luna, cresta dell’onda che i cinesi chiamano “hado”, nome che esprime l’energia creatrice della vita stessa.



Nel frattempo prosegue la conoscenza, sempre più entusiasmante, nel mondo della profumeria artistica, spingendomi ad approfondire sempre di più, gli stretti legami tra profumi, musica ed arte espressa nelle più svariate forme, conoscenza favorita dalla fortuna di lavorare nello stesso contesto oggetto della mia appassionata curiosità.


Quando mi capitò di annusare un meraviglioso profumo di Osmanthus, il cui cuore era anticipato da note di the cinese per ricordarne l’origine, ebbi un’emozione che, per un istante, mi catapultò davanti al dipinto di Marc Chagall “Il Pittore sulla Luna”. L’emozione fu forte. Nello stesso periodo, le mie ricerche mi avevano portato sulle tracce di un artista  già da me molto amato durante le superiori, Marc Chagall. Allora mi piaceva la sua pittura naif e il suo utilizzo del colore, ora avevo compreso cosa significasse la definizione che lessi una volta su di lui: 
" Il Pittore che ha reso visibile l’Invisibile”. L’incontro con Chagall non fu per caso, né per coincidenza, ma per serendipità. 


Era il 7 luglio, l’anno non ha importanza. Stavo facendo a piedi la strada che mi conduceva al lavoro e, come quasi tutte le mattine, amavo passare attraverso un parco cittadino per fare il pieno di colori e profumi. Lo sguardo rimase affascinato da un’aiuola dove spiccavano dritti e fieri dei meravigliosi fiori di un bellissimo blu, un blu che diventò per me il Blu Chagall. Distanziati uno dall’altro quel tanto che basta per focalizzarsi sulla loro individualità, gli agapanthus spiccano verso l’alto con un gambo verde robusto ma flessibile come un giunco, per poi sbocciare in una sfera dove la cromia dei fiorellini blu si melange al verde dei piccoli steli, quasi a voler rappresentare il Mondo, con i colori blu del cielo e del mare e i verdi delle foreste e dei prati. Lo so, ho tanta immaginazione, ma se vi fermaste ad osservare la bellezza delle forme e dei colori, riuscireste a percepirne il profumo che non ha. 
Sentireste il profumo verde del gambo come quello di un bamboo, sentireste il profumo della terra, dei muschi, dei prati e sentireste il profumo del cielo. Perché altrimenti si chiamerebbe agapanthus? L’agape è l’amore universale, è il cerchio che si chiude, e l’agapanthus era il fiore preferito da Chagall che, nel giardino della sua ultima dimora nel sud della Francia, aveva voluto un’aiuola con questi fiori che fiorivano intorno alla data del suo compleanno che, indovinate un po’, era il 7 luglio. E sono certa, che la sua straordinaria sensibilità gli fece cogliere le sfumature blu di questo fiore per poi riportarlo come paradigma nelle sue vetrate più famose, le quali sembrano vivere di luce propria anche nell’oscurità, quasi a suggerirci di brillare sempre della nostra luce interiore. ..e dal blu di Chagall, mi spruzzo di agape profumato colorato di verde e blu, chiudo gli occhi e ascolto:

George Gershwin - Rhapsody in Blue



Chagall, con Belle, sua adorata moglie, avrà ascoltato questa musica mentre dipingeva!? Che meraviglia avere il naso per annusare, la vista per osservare, l’udito per ascoltare, la mente per immaginare, il cuore per amare….grazie Marc…grazie Universo.

Nel prossimo appuntamento



Profumo d' infinito - La storia di un profumo del passato, del presente e del futuro

1 commento:

  1. E così eccomi qui Antonella e, come vedi, scrivo il tuo nome per intero.

    Interessante ciò che hai scritto, un piccolo viaggio alla ricerca delle emozioni, che guai se non ci fossero aggiungo, sono la nostra linfa vitale, in qualsiasi modo si abbia voglia di viverle.

    Complimenti per il blog, benvenuta quindi in questa realtà che qualcuno chiama virtuale, ma che invece io ritengo sia per certi versi più reale della realtà stessa.

    Una volta, a proposito di blog, ho scritto: “A volte è come entrare in una stanza buia dove si vedono soltanto dei piccoli fasci di luce che penetrano dalle persiane chiuse, altre invece sembra d’essere in un grande Open Space pieno di gente chiassosa e a fatica si riesce a sentire il suono della voce, ma un particolare in comune c’è sempre, due occhioni curiosi, a volte languidi, quasi sempre scuri e penetranti, che ti guardano vogliosi di sapere cosa è rimasto di quelle parole, di quei pensieri a volte scombinati lasciati lì per suggellare un bisogno di ritrovarsi e ritrovare, o soltanto lasciati lì per il gusto di lasciare.”

    E, infatti, non a caso parlo di “occhioni curiosi che guardano”, perché ognuna delle persone che visito la immagino così, ne vedo i tratti, a volte anche l’espressione e di qualcuna sento persino il cuore che batte, tanta è la forza che riesce a comunicarmi.

    Ed è la stessa forza che ho letto tra le tue parole.

    Cosa di più?

    Ciao.
    Arturo… ma va bene anche Arthur. :-)

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